Accelerare «la crescita all’estero per essere più forti in Italia. Per poter investire sul territorio, creare occupazione, puntare su ricerca e innovazione, l’unica via per essere competitivi. E tenere testa sui mercati alle multinazionali della detergenza e dei prodotti per la persona grazie alla ricerca che apre le porte del futuro». Le sfide con le big internazionali — nomi come P&G, Reckitt Benkiser e Unilever — le conosce bene l’imprenditore Giovanni Sala che con la famiglia Silva guida il gruppo Desa di Seregno. Per tutti è Mr Sgrassatore. Dietro la sigla di una holding articolata, che ha in Chanteclair uno dei suoi punti di forza e che vanta oltre un secolo di storia, c’è una realtà che vale 325 milioni di ricavi, ne macina 56 di ebitda e 31 di utile netto, con 450 dipendenti. Di fatto è un gruppo della chimica. L’innovazione è al centro, con un’attività di ricerca nei tre impianti produttivi di saponi e detersivi.
«In un mercato internazionale dominato dalle grandi realtà dei prodotti di consumo noi portiamo sui mercati esteri il 100% Made in Italy. Siamo in Francia, Svizzera, Europa dell’Est e vendiamo lo Sgrassatore anche in Cina. Attraverso questi mercati facciamo crescere l’Italia. Dove il gruppo continua a guardare le opportunità di acquisizione», dice Sala , 53 anni, seconda generazione degli imprenditori lombardi, presidente della controllata Real Chimica e membro del Comitato esecutivo di Desa.
Così l’azienda ha appena disegnato un piano che punta a portare dall’attuale 20 al 30% il peso delle esportazioni sul fatturato in circa tre anni. Carburante che potrebbe portare, secondo gli obiettivi, i ricavi a quota mezzo miliardo anche prima di cinque anni.
Ogni anno — spiega Sala — il fatturato cresce a un ritmo del 10%. Il picco è arrivato nel 2020 (più 13%) quando la pandemia spingeva le famiglie a disinfettare le proprie case. Dietro c’è appunto lo sgrassatore Chanteclair, non un prodotto per un uso singolo bensì «universale», un liquido per pulire quasi qualsiasi cosa. Come dire, 80 milioni di flaconi di detergente — che valgono il 50% del mercato italiano prodotti a Sant’Agata Bolognese, uno dei quattro stabilimenti del gruppo che a Seregno lavora le polveri, a Caravaggio i detersivi liquidi per bucato e a Fara Olivana (Bergamo) realizza i flaconi in plastica. Da questi impianti escono Chanteclair, Spuma di Sciampagna, Quasar, Sauber, e poi Persavon e La Perdrix ai quali si aggiunge Chanteclair Vert, una linea di prodotti di nuova generazione che indicano la direzione presa verso il basso impatto ambientale. Mentre APropos, IcoPiuma, VistaPiù sono realizzati da terzisti della farmaceutica.
La casa di Chanteclair è il risultato dell’integrazione nel tempo di più realtà imprenditoriali e relative famiglie. Era il 1908 quando a Seregno veniva fondato il Saponificio Ambrogio Silva per la produzione di saponi da bucato e da toilette. Poi le produzioni di detersivi in polvere e liquidi. Infine le acquisizioni. Dalla Spuma di Sciampagna per l’igiene personale nel 1989, poi Chanteclair, marchio nato in Francia dove il gruppo ha comprato poi Persavon e La Perdrix. Quindi Sauber da Benckiser. Una spinta forte alla crescita del gruppo era venuta da Roberto Silva, l’imprenditore mancato due anni fa. Ora come presidente di Desa c’è il fratello Ambrogio che porta lo stesso nome del nonno che ha fondato il gruppo.
Acquisizioni ma anche aggregazioni di altre realtà imprenditoriali... «Abbiamo compiuto un percorso di inclusione di alte aziende della filiera, dei loro imprenditori perché integravano l’attività. La mia famiglia ha per esempio portato la Realchimica che distribuiva i prodotti Chanteclair. Poi è arrivata la famiglia Malagoli di Modena, la cui l‘azienda era terzista per il gruppo nella produzione di detergenti liquidi. Nel 2002 la nascita della holding Desa di cui siamo tutti azionisti. E il percorso aggregativo può continuare».
E la governance? «C’è Desa, con il presidente Silva, che custodisce le quote azionarie e ha un Comitato esecutivo che dà l’indirizzo strategico, si comporta come un amministratore unico e propone le sue scelte all’assemblea dei soci. Poi nelle singole controllate al 100% c’è un consiglio che esprime l’amministratore delegato. È un modello di coesione, da soli si fa fatica a crescere, invece, unirsi, riconoscendo le capacità imprenditoriali di ciascuno, creare inclusione, così si crea un’esperienza positiva».
Non è un modello complicato? «Al contrario. È efficiente perché ogni società fa il suo mestiere, si pone obiettivi e sfide per crescere. D’altra parte è naturale che la longevità di un’impresa crei complessità nella struttura. Noi siamo organizzati come una multinazionale, abbiamo tutto in casa, dalla chimica alla produzione fino all’imbottigliamento e alla distribuzione. Ciò consente anche buoni margini. Che ci permettono anche di avere spalle più forti e affrontare un terreno di gioco che è il mondo. Non esiste più l’idea di un’azienda lombarda, ci vuole una visione globale».
C’è il tema forte dell’aumento dei prezzi, come l’affrontate? «Per avere un’idea, il prezzo di un cubo di sapone da lavorare è cresciuto del 25%, ma è salito anche quello dei bancali di legno, della chimica in generale. Gli aumenti ci fanno preoccupare allora abbiamo deciso di gestire diversamente alcune attività. Usiamo per esempio più trasporto intermodale e meno su strada. Aiuta a contenere i costi del carburante e al contempo diminuisce l’impatto ambientale, anche se ha a volte tempi più lunghi. È anche per questo che il Paese deve accelerare gli investimenti per l’ammodernamento delle infrastrutture, questo aiuterebbe le aziende in questa fase complicata.
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