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Alimentazione: quanto le tue abitudini impattano sull'ambiente?
In un anno la pasta è aumentata del 14%, la farina del'11% e lo zucchero del 7%. Aumenti del 9% in un anno anche per l'olio extravergine mentre rimangono stabili latte, passata e caffè. Prezzi su anche a febbraio (a conflitto ucraino già iniziato) ma non più di quanto sono saliti nei mesi scorsi. Ecco la nostra analisi dei prezzi su 7 prodotti che non mancano mai nel carrello degli italiani.
Nei supermercati e negli altri punti vendita di alimentari, si sta verificando una corsa (come vedremo per molti versi immotivata) ad accaparrarsi prodotti alimentari come pasta, farina e zucchero, innescata dalla percezione da parte dei consumatori che questi prodotti siano destinati a diventare sempre più rari sugli scaffali. Non possiamo però dire con certezza se questa situazione sia figlia anche del timore di un aumento dei prezzi finali dei prodotti o solo della paura di una minore disponibilità delle materie prime nei prossimi mesi sul mercato internazionale.
Secondo i dati di Unionfood (l'organizzazione italiana a tutela delle aziende del settore alimentare) in un anno le materie prime indispensabili per alimenti come pasta, pane e dolci sono in forte aumento (dati di marzo): il grano duro (quello che serve per fare la pasta) è aumentato addirittura dell'82%, seguito a ruota da quello del frumento tenero (+65%), dal latte (+40%) e dello zucchero (+15%). Le ragioni di questi aumenti non sono però attribuibili (come troppo semplicemente si pensa) esclusivamente all'escalation della guerra in Ucraina. Russia e Ucraina sono sì forti esportatori ad esempio di frumento tenero (quello che serve per la farina 00 e i suoi derivati) ma non in Italia, dove l'import da quei paesi rappresenta solo 5%, e soprattutto non sono esportatori di grano duro, indispensabile per fare la pasta (fonte elaborazione Ismea su dati Istat).
Ma quanto sono aumentati i prezzi dei prodotti finiti che i consumatori mettono nel carrello? Un sensibile aumento dei prezzi dei prodotti alimentari sugli scaffali è in corso ormai da un po' di tempo a questa parte. Abbiamo analizzato i dati di crescita dei prezzi fino al mese di febbraio (quindi a conflitto già iniziato) per capire se davvero la guerra in Ucraina ha portato l'impennata dei prezzi al consumo di cui tutti hanno timore. Come vedremo singolarmente per i vari prodotti analizzati, il dato più significativo che emerge è che gli aumenti di prodotti come pasta, farina e zucchero sono in crescita costante già dallo scorso anno.
Il secondo dato che emerge è che gli aumenti dell'ultimo mese rilevato (febbraio) non indicano uno scatto in alto anomalo rispetto agli ultimi mesi. Anzi per molti prodotti a febbraio il prezzo a scaffale è persino diminuito: parliamo ad esempio della farina 00 (passata 0,74€ al chilo di gennaio allo 0,72€ al chilo di febbraio), ma anche dell'olio extravergine di oliva (passato da 4.39€ al litro ai 4,29€ al litro di febbraio).
Ciò non significa che ci sia in atto una inversione di tendenza. Anzi, quello che stiamo vedendo nel mese di marzo è una decisa turbolenza sia nei mercati internazionali delle materie prime (come abbiamo visto dai dati di Unionfood) sia nelle abitudini degli italiani tornati a svuotare gli scaffali dei supermercati come nel primo lock-down Covid.
Di seguito facciamo una panoramica della situazione prezzi dei 7 prodotti che abbiamo analizzato.
In un anno tra febbraio 2021 e febbraio 2022 il prezzo medio della pasta è aumentato del 14%. I listini in realtà sono aumentati ancora di più (+19%) ma i consumatori si stanno difendendo acquistando più spesso pasta in promozione. In un mese, tra gennaio 2022 e febbraio 2022 gli aumenti del prezzo medio totale sono stati più contenuti (in media la pasta è aumentata di un solo centesimo al chilo). Ma registriamo aumenti più consistenti nei prezzi a listino (quasi 5 centesimi al chilo).
Se si prende in considerazione il grano duro, Russia e Ucraina hanno un ruolo del tutto marginale relativamente a questo cereale, sia dal lato dell’offerta sia riguardo alle esportazioni, dato che congiuntamente rappresentano poco più del 2% dell’export globale (fonte elaborazione Ismea su dati Istat). È quindi chiaro che sul fronte del frumento duro, fattori antecedenti al conflitto e riguardanti ad esempio la scarsa produzione possono avere impattato sulle dinamiche di mercato attuali.
Il primo produttore mondiale di frumento duro e primo esportatore è il Canada; è bene ricordare infatti che questo paese ha subito nella scorsa stagione pesanti riduzioni nei raccolti (-60% rispetto all’anno 2020) a causa di fattori principalmente climatici. A partire da metà 2021, i listini internazionali della granella hanno subito costanti incrementi in ragione della repentina ripresa della domanda dopo una prima fase post-pandemica, sostenuta anche dall’incremento dei costi di trasporto; il crollo dell’offerta del Canada nel 2021 ha spinto ulteriormente al rialzo le quotazioni (fonte Ismea).
Nell’ultimo mese i prezzi della farina di grano tenero hanno rallentato la loro corsa: il prezzo medio a scaffale risulta diminuito del 2%. E’ comunque vero che in un anno, tra febbraio 2021 e febbraio 2022 il prezzo medio è aumentato dell’11%.
L’Italia non è autosufficiente per la produzione di del frumento tenero e circa il 60% del nostro fabbisogno è coperto dalle importazioni. Il grano tenero viene prodotto anche in Russia e Ucraina che sono rispettivamente il primo e il quarto tra i paesi esportatori. Ma è bene ricordare che le importazioni italiane di grano tenero provengono principalmente da altri paesi dell’Unione Europea. Le importazioni da Russia e Ucraina non raggiungono il 5% di tutte le nostre importazioni di grano tenero (fonte elaborazione Ismea dati Istat). La quota sul nostro fabbisogno (considerando anche quanto produciamo sul territorio nazionale) è ancora più ridotta.
Sebbene, come abbiamo visto, non dobbiamo preoccuparci direttamente dei rallentamenti nelle forniture dai due paesi coinvolti nel conflitto e quindi non sono giustificati inutili allarmismi, è pur vero che Russia ed Ucraina sono importanti produttori ed esportatori. Il Grano Russo e Ucraino va verso altri mercati (Nordafrica e Asia principalmente). Un rallentamento nelle forniture dei due stati, però, riduce la disponibilità di questo cereale sui mercati internazionali con probabili ripercussioni sui prezzi.
A questo si aggiunge l’adozione da parte di singoli Stati di misure di restrizione al proprio export per tutelare l’approvvigionamento interno e il mercato (è il caso ad esempio dell’Ungheria che è il primo fornitore italiano di grano tenero).
Infine, un'ultima considerazione: la crisi tra Russia e Ucraina se continua può mettere a rischio il prossimo raccolto. Questo significa che ci sarà in generale meno disponibilità di grano tenero sui mercati internazionali. Meno offerta a parità di domanda potrebbe portare i prezzi ad aumentare per tutto il grano tenero (indipendentemente dall’origine)
Il latte a lunga conservazione per il momento non sembra subire la sorte toccata ad altri prodotti di prima necessità che stanno mettendo in evidenza rincari. Il prezzo a scaffale di questo prodotto è rimasto abbastanza stabile nell’ultimo periodo: pagavamo un lito di latte 0.88€ tre anni fa (gennaio 2019), lo paghiamo 0.92€ oggi (febbraio 2022). L’aumento è di 4 centesimi in 3 anni.
Non importiamo latte dai paesi in conflitto. Le importazioni di latte ammontano per il 2021 a oltre 887 mila tonnellate pari a circa il 16% del nostro fabbisogno. Le nostre importazioni provengono in larga maggioranza da altri paesi europei e non ci sono importazioni né da Russia né da Ucraina.
Tuttavia il latte è proprio uno di quei prodotti che potrebbe subire rincari indiretti a seguito dell’aumento dei costi di produzione che devono sostenere gli allevatori. Anche l’allevamento, infatti, subisce l’impatto degli aumenti nel costo dell’energia e risente anche degli aumenti che si sono verificati nel comparto mangimi e foraggi come conseguenza, tra l’altro, degli aumenti del prezzo del mais. Il mais, infatti, è largamente utilizzano dall’industria dei mangimi ed entra nella filiera della produzione di latte e di carne.
Se al momento non abbiamo ancora evidenza di eventuali ripercussioni sui prezzi del latte a lunga conservazione che i consumatori posso acquistare al supermercato, il prezzo all’origine del latte italiano, invece, parla chiaro: il prezzo ha già subito rincari.
Lo zucchero da barbabietola ha un prezzo in crescita anche se al momento non a tassi così elevati come altri prodotti alimentari. Nell’ultimo anno (da febbraio 2021 a febbraio 2022) il prezzo medio di questo prodotto è aumentato del 7%.
Gli aumenti sono cominciati a partire dalla scorsa estate e si sono intensificati durante l’autunno.
In questo caso i prezzi a cui i nostri consumatori acquistano i prodotti, riflettono in parte una situazione più amplia. Le quotazioni internazionali dello zucchero sono in effetti salite rapidamente a cavallo della scorsa estate. A partire a dicembre 2021 sembra che la corsa al rialzo si sia fermata.
Particolare la situazione dell’olio extravergine di oliva. Si tratta di un prodotto per cui i prezzi al dettaglio hanno dinamiche che risentono più delle strategie delle catene distributive che non dei movimenti dei costi alla produzione. Del resto, le forti oscillazioni dei prezzi all’origine sono assorbite in parte dall’industria e parte dal distributore in modo da attenuare la variabilità del prezzo finale.
A fronte di un prezzo al dettaglio abbastanza stabile nel tempo, un aumento delle quotazioni delle materie prime non sempre si riflette in modo proporzionale lungo la filiera. E’ quanto accaduto ad esempio nei primi mesi del 2021, quando sono aumentati i prezzi alla produzione ma i prezzi al dettaglio non ne hanno particolarmente risentito.
Ora invece segnaliamo un rialzo nei prezzi a cui i consumatori acquistano l’olio extravergine di oliva: +9% in un anno (da febbraio 2021 a febbraio 2022). Questo anche se non ci sono segnali particolari di aumenti lato produttivo. Gli aumenti a scaffale hanno comunque toccato il loro massimo la scorsa estate e sembrano ora aver rallentato.
Per il caffè in polvere che i consumatori acquistano negli Ipermercati, supermercati e discount non si rilevano al momento variazioni di prezzi. Pagavamo il caffè 6,14€ al chilo a febbraio 2021, lo paghiamo ora (febbraio 2022) 6,11€ con una riduzione impercepibile del -0.4%.
Il prezzo del caffè in polvere va tenuto sotto osservazione perché le quotazioni internazionali, invece, stanno subendo tensioni. Secondo la stima fornitaci da Unionfood il costo della materia prima caffè è aumentato del 76% in un anno.
Per la passata di pomodoro gli ultimi 12 mesi non hanno evidenziato grossi cambiamenti sui prezzi a cui acquistano i consumatori.
È vero comunque che ancora non sono stati riassorbiti gli aumenti che il prodotto aveva subito nel periodo Covid. La passata di pomodoro è comunque più costosa oggi che prima della pandemia: +12% rispetto a gennaio 2020.
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