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Le t-shirt da pochi euro hanno una resistenza comparabile a quella dei modelli più costosi. È quanto emerso dalla nostra inchiesta che ha messo a confronto il modello low cost con quello premium di 7 importanti brand: Adidas, Decathlon, Nike, H&M, Muji, Benetton e Zara.
Tutte le volte che si parla di moda sostenibile è immancabile sentire additare quale massimo esempio negativo la t-shirt venduta a pochissimi euro. Troppo poco, dicono gli esperti, per garantire standard etici e ambientali accettabili, troppo poco per offrire un prodotto di qualità che duri nel tempo. Sicuri che questo ragionamento stia in piedi in tutte le sue parti? E, per contro, si può essere certi che una t-shirt da 70 euro sia qualitativamente migliore di una che costa 4 euro? Stabilire quanto sia sostenibile un capo di abbigliamento è molto complicato, sia perché le etichette non sono di alcun aiuto sia perché le filiere produttive del tessile sono molto complesse e ramificate. Esistono invece test di laboratorio specifici che permettono di verificare la resistenza all’uso, obiettivo della nostra inchiesta.
Siamo entrati negli e-shop di tre brand di abbigliamento sportivo e di quattro di moda casual, acquistando ogni volta due modelli di t-shirt, uno a basso costo e uno di costo più elevato (che per facilità definiamo “premium”), con lo scopo di metterli a confronto. Abbiamo scelto un tipo di capo non soggetto alle mode e di cui tutti posseggono almeno un esemplare nel proprio armadio, rigorosamente di colore scuro (blu o nero), in modo da poter verificare anche il grado di tenuta del colore. Per le prove di laboratorio abbiamo optato per uno dei protocolli più severi, che permette di evidenziare maggiormente le differenze di performance tra le varie t-shirt, dal momento che metodologie di analisi meno “stressanti” non sono abbastanza sensibili per evidenziare disomogeneità. I risultati dei nostri test sono tali da mettere in crisi qualsiasi idea preconcetta. Nonostante tra la t-shirt low cost e quella premium di uno stesso marchio ci sia una differenza di prezzo che va dall’80% (Muji) al 300% (H&M), gli esiti delle prove non evidenziano mai notevoli difformità qualitative tra le due versioni. Solo per Zara e Nike si nota una certa superiorità della t-shirt più costosa, ma siamo lontani da una vittoria schiacciante. In tutti gli altri casi la versione che primeggia lo fa di strettissima misura: è quella premium per Adidas, H&M e Muji, quella base per Benetton e Decathlon. Insomma, maggiorazioni di prezzo così importanti non sono giustificate da incrementi parimenti significativi in termini di qualità e resistenza.
Il colore resiste di più nel modello premium, mentre nella tenuta della forma e delle dimensioni vince il modello base.
La maglia più costosa vince per la tenuta del colore, ma perde sul versante della resistenza, forse per via della trama a rilievo (piquet).
Non si notano differenze apprezzabili. La maglietta da 4 euro addirittura se la cava meglio nel test di deterioramento.
Il modello più economico primeggia nelle prove di usura, quello premium vince nei test che valutano la stabilità di forma e dimensioni.
Non si rilevano grandi differenze tra i due modelli di Muji. Le prestazioni misurate con i nostri test sono nel complesso comparabili.
Notevole la resistenza di entrambe le t-shirt di Nike. La palma della vittoria va però al modello più costoso.
La bilancia pende a favore della t-shirt con il prezzo più alto. Nella tenuta della forma, però, fa meglio il modello low cost.
Il colore resiste di più nel modello premium, mentre nella tenuta della forma e delle dimensioni vince il modello base.
La maglia più costosa vince per la tenuta del colore, ma perde sul versante della resistenza, forse per via della trama a rilievo (piquet).
Non si notano differenze apprezzabili. La maglietta da 4 euro addirittura se la cava meglio nel test di deterioramento.
Il modello più economico primeggia nelle prove di usura, quello premium vince nei test che valutano la stabilità di forma e dimensioni.
Non si rilevano grandi differenze tra i due modelli di Muji. Le prestazioni misurate con i nostri test sono nel complesso comparabili.
Notevole la resistenza di entrambe le t-shirt di Nike. La palma della vittoria va però al modello più costoso.
La bilancia pende a favore della t-shirt con il prezzo più alto. Nella tenuta della forma, però, fa meglio il modello low cost.
Se vuoi vedere i risultati completi con il confronto tra il modello base e quello premium per ognuna delle marche prese in esame, leggi l'articolo completo
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Neppure un’analisi più dettagliata dei risultati consente di trarre deduzioni più generali sulla base delle differenze di prezzo. Il colore resiste meglio ai lavaggi nei modelli d’alta gamma, mentre nelle prove di usura sono le magliette della linea basic a ottenere in più casi risultati migliori.
Il mantenimento della forma e delle misure a seguito dei lavaggi e delle asciugature sembra più legato al tipo di tessuto che ad altri fattori: le t-shirt di cotone tendono ad allargarsi o a restringersi (cambio di dimensioni), mentre quelle di tessuto sintetico, come il poliestere, tendono maggiormente alle alterazioni di forma. L’esiguità del campione di capi in materiale riciclato non permette una riflessione su basi solide.
Inutile poi avventurarsi in considerazioni sul “made in”, dal momento che l’esito dei nostri test non evidenzia un collegamento tra qualità della t-shirt e paese di produzione dichiarato.
Quali conclusioni allora si possono trarre dalla nostra indagine? Che spendere di più non dà la certezza di assicurarsi una maglietta di qualità migliore: ovvero, considerando le nostre prove, che non stinge, resiste all’usura, non subisce cambi di forma né di dimensioni. In altre parole, un prodotto destinato a durare più a lungo nel tempo, e quindi a vedere ridotta la propria impronta ecologica. Se il prezzo maggiore, nel caso delle magliette premium, sia soltanto il risultato di politiche di marketing o sia invece dovuto a costi di ricerca e sviluppo o sia servito a remunerare meglio i lavoratori, oppure a tutto questo messo insieme, solo le aziende possono dircelo. Infine, un consiglio per tutti. Facciamo la nostra parte per cercare di allungare la vita dei capi e minimizzare il loro impatto ambientale spalmandolo su più anni. Non dimentichiamo mai che per produrre una t-shirt, dai campi di cotone alla sua confezione, sono stati usati suolo, acqua, sostanze chimiche ed energia. Laviamo i nostri indumenti in modo corretto per non rovinarli, non sprechiamo acqua ed energia, limitiamo il più possibile l’uso dell’asciugatrice. E alla fine ricicliamoli.
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